Le istiocitosi sono un gruppo eterogeneo di disordini caratterizzati dall’accumulo e/o la proliferazione di fagociti mononucleati di origine midollare. Se ne distinguono due famiglie principali: la istiocitosi a cellule di Langerhans , che deriva dalle cellule dendritiche, e la linfoistiocitosi emofagocitica, che deriva dalle cellule fagocitiche.
Istiocitosi a cellule di Langerhans (ICL/LCH)
La ICL è una malattia rara (prevalenza di 1-2/100.000) che può coinvolgere tutte le fasce di età con un picco di incidenza nella prima infanzia.
La diagnosi si basa sull’analisi istologica e immunoistochimica dei tessuti affetti (infiltrato granulomatoso di cellule con fenotipo LC, CD1a+ e/o Langherina +).
L’eziopatogenesi della malattia è stata a lungo dibattuta. Le citochine infiammatorie (in particolare IL-17A) sembrano avere un ruolo cruciale nello sviluppo della ICL a sostegno dell’origine infiammatoria/reattiva della malattia.
A partire dal 2010, con l’identificazione nelle lesioni tissutali e nei progenitori midollari di mutazioni somatiche attivanti a carico del gene BRAF e di altri geni della stessa via, la ICL è stata ridefinita come una malattia clonale di origine mieloide.
Sebbene la ICL8 sia una malattia sporadica, casi di familiarità e di concordanza tra gemelli omozigoti suggeriscono il ruolo di fattori genetici costituzionali, ad oggi non identificati.
La presentazione clinica e la prognosi sono molto eterogenee potendo variare tra lesioni cutanee o ossee uni-focali autolimitantesi a malattia disseminata ad organi vitali potenzialmente letale.
Le sedi più frequentemente interessate nel bambino sono osso e cute. Raramente sono coinvolti milza, fegato e sistema ematopoietico, organi a rischio per un decorso aggressivo gravato da alto tasso di mortalità.
La malattia polmonare isolata è rara nel bambino ed il quadro radiologico presenta caratteristiche diverse rispetto a quelle del paziente adulto per il quale è segnalata anche una possibile interdipendenza tra la malattia polmonare e l’abitudine tabagica.
Il coinvolgimento del sistema nervoso centrale (SNC) può manifestarsi sotto forma di lesioni infiltranti o come complicanza neurodegenerativa.
Coloro che sopravvivono possono andare incontro a riattivazioni o complicanze.
In uno studio di follow-up a lungo termine, tali complicanze si sono sviluppate nel 42% dei pazienti, più frequentemente in quelli con malattia multisistemica. Il diabete insipido è il risultato della complicanza più frequente (15%), seguito da quelle del SNC e dalla fibrosi polmonare. Altre complicanze comprendono i deficit ormonali adenoipofisari e la colangite sclerosante. Pazienti con interessamento delle ossa del massiccio facciale e/o con diabete insipido sono a rischio di sviluppare la complicanza neurodegenerativa della malattia (ND-ICL), evento raro ma temibile che può progredire fino a severe manifestazioni neurologiche inabilitanti come l’atassia e la tetraparesi. La limitata conoscenza dei meccanismi patogenetici alla base di tale complicanza ha impedito finora di sviluppare terapie efficaci ad arrestarne la progressione. L’individuazione precoce dei pazienti a rischio e il loro accurato monitoraggio, così come lo studio di fattori biologici predisponenti, rappresenta ad oggi uno dei principali obiettivi della ricerca scientifica internazionale.
Trattamento
L’estrema eterogeneità della malattia si riflette in un iter diagnostico-terapeutico complesso che richiede la valutazione dei casi sospetti in Centri altamente specializzati.
Le conoscenze acquisite grazie ai risultati dei diversi protocolli di cura multicentrici hanno permesso di stratificare la popolazione pediatrica in “single-system ICL” (SS-ICL) e “multi-system ICL” (MS-ICL) con o senza interessamento di organi a rischio il cui coinvolgimento, oltre alla scelta terapeutica, condiziona la prognosi. Nell’adulto mancano protocolli di cura multicentrici e proposte di stratificazione, pertanto i trattamenti si rifanno prevalentemente alle esperienze maturate dai singoli Centri o a quelle derivanti dai protocolli pediatrici.
In effetti a partire dagli anni ’80, lo sviluppo di studi clinici cooperativi prospettici pediatrici, ha contribuito al miglioramento della strategia terapeutica, con impatto favorevole sulla prognosi dei pazienti con ICL. A partire dal 1991, sono stati sviluppati studi internazionali nell’ambito dell’Histiocyte Society (HS), con l’obiettivo di ridurre l’incidenza della resistenza alla terapia, delle ricorrenze di malattia e delle sequele a lungo termine (LCH-I, LCH-II, LCH-III, LCH-IV). Il protocollo attualmente aperto, LCH-IV, coordinato a livello nazionale dalla AOU A. Meyer, valuta opzioni terapeutiche di seconda linea per pazienti con o senza interessamento di organi a rischio e propone un trattamento specifico per la malattia SNC. Sulla base della recente identificazione del ruolo patogenetico delle mutazioni del gene BRAF, negli ultimi anni gli inibitori delle tirosinchinasi, in particolare l’inibitore di BRAF, Vemurafenib, sono stati utilizzati con successo in piccole coorti di pazienti adulti e sono attualmente in valutazione nei bambini.
Linfoistiocitosi Emofagocitica
La Linfoistiocitosi Emofagocitica (LE o HLH) è una rara malattia caratterizzata da sindrome iperinfiammatoria causata da una risposta immunitaria incontrollata e inefficace.
Le sue manifestazioni principali sono: febbre persistente senza causa apparente, epatosplenomegalia, pancitopenia e in alcuni casi si può osservare all’esame morfologico dell’aspirato midollare emofagocitosi.
La causa risiede in difetto della risposta immunitaria citotossica che può essere su base genetica, forma familiare della malattia, linfoistiocitosi Emofagocitica Familiare (LEF / FHL) o acquisita (forma secondaria o della malattia).
La LEF è stata descritta nel 1952 e si trasmette con modalità autosomica recessiva (frequenza 1:50.000). L’esordio è solitamente nei primi mesi di vita, in rari casi può esordire in età più avanzata o addirittura adulta ed è di solito scatenata da un’infezione virale. L’esito è rapidamente infausto se non trattate adeguatamente. L’unica terapia definitiva è il trapianto di cellule staminali ematopoietiche.
La LEF è una sindrome geneticamente eterogenea e ad oggi sono noti 4 geni-malattia: PRF1 (LEF2), UNC13D (LEF3), STX11 (LEF4) e STXBP2 (LEF5). Un quadro clinico simile alla LEF può essere associato ad altri difetti genetici responsabili delle seguenti malattie: la sindrome Linfoproliferativa X-linked di tipo 1 (XLP1) associata a mutazioni nel gene SH2D1A, la sindrome Linfoproliferativa X-linked di tipo 2 (XLP2) associata a mutazioni nel gene BIRC4A, la Sindrome di Griscelli (GS) associata a mutazioni nel gene Rab27A e la Sindrome Chediak-Higashi (CHS) associata a mutazioni nel gene LYST.
Occasionalmente uno stato transitorio di insufficienza funzionale può scaturire da una situazione contingente come infezioni (la cui identificazione non esclude però una forma familiare perché agiscono da trigger), malattie reumatologiche o autoimmunitarie, neoplasie ecc. Tali pazienti in cui non è dimostrabile un difetto costituzionale sono definiti come affetti da forme “secondarie” o “acquisite” di LE. Di solito sono forme che esordiscono in età più avanzata e possono risolversi spontaneamente o in seguito alla rimozione dell’agente scatenante.
In realtà la distinzione tra LE primaria e secondaria non è così netta. Lo spettro clinico della LE appare, infatti, come un continuum di rischio: la soglia per lo sviluppo della LE può essere raggiunta mediante combinazioni variabili di gravi difetti genetici nei geni della risposta immunitaria citotossica, “forza” dei trigger infettivi ed infiammazione. Pertanto oggi si preferisce parlare di LE familiare e di forme sporadiche in alcune delle quali la genetica può avere un ruolo predisponente. Il nostro gruppo, attualmente con sede alla AOU A. Meyer, mantiene dal 1985 un registro cui sono stati riferiti circa 1000 casi in Italia e in molti altri paesi.
Diagnosi
Le manifestazioni cliniche della LE sono indistinguibili nelle forme familiari e in quelle sporadiche. Per questo motivo nel 1991 sono stati stabiliti dalla Histiocyte Society, i criteri diagnostici, rivisti nel 2004. La presenza di almeno 5/8 criteri clinici e di laboratorio permette di determinare diagnosi di LE. A questo punto è necessario rivolgersi ad un laboratorio di riferimento dove sia possibile effettuare test funzionali del sangue, utili per indirizzare la successiva analisi genetica che permette la diagnosi definitiva nelle forme familiari. Il laboratorio del Meyer di Firenze svolge queste analisi in maniera centralizzata per i centri italiani. La diagnosi genetica definitiva fornisce l’indicazione certa per il trapianto di cellule staminali emopoietiche, la consulenza genetica familiare ed una eventuale diagnosi prenatale. Lo studio dei casi genetici ha fornito indicazioni importanti per la comprensione di alcuni meccanismi di funzionamento del sistema immunitario nell’uomo.
Terapia
Lo sforzo cooperativo internazionale ha portato alla messa a punto, mediante protocolli sperimentali, di una terapia efficace che permette alla maggior parte dei bambini affetti da LE di guarire. La terapia va iniziata prontamente allo scopo di ridurre lo stato iperinfiammatorio ed eliminare le cellule immunitarie attivate. Sulla base degli Studi cooperativi internazionali della Histiocyte Society HLH-94 e HLH-2004 è stato definito come trattamento standard l’utilizzo di desametazone, etoposide e ciclosporina. In alcuni casi la combinazione di questo trattamento con l’immunoterapia può essere efficace. Recentemente è in corso di sperimentazione l’utilizzo di un anticorpo monoclonale ricombinante anti-interferongamma che può essere utile in alcuni casi per mantenere sotto controllo l’infiammazione prima del trapianto. Nelle LEF l’unica cura definitiva è il trapianto di cellule staminali ematopoietiche.
Vedi anche: la ricerca sulle istiocitosi